Preludio dell'alba

Wick, Highland, United Kingdom

La fredda tenebra si stava ritirando, cedendo così il suo posto al tepore dell'alba.
Un moto perpetuo ed eterno, immutabile.
Quante volte aveva respirato quel momento? Un'infinità di volte, ed altrettante erano le volte che non aveva potuto guardare la natura che tanto ama: l'erba risplendere di quel verde unico, che solo il sole e la sua luce rendono come un'emozione viva; la rugida sulle foglie, il respiro della natura, che crea quel senso di fastidio e allo stesso tempo ti rende partecipe di vita vera e propria e di respiri invisibili; il canto degli uccelli, un incomodo mattutino che indica che il monto intero sta per svegliarsi. Diamine! Quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva sentito e assaporato quel frangente? Ormai non contava più. Erano ricordi, inesorabili, che scemavano nel nulla. Era tutto vago e quasi del tutto perso. Vivere una vita quasi immortale e perdersi la bellezza eterea e qusi infinita... Difficile più a dirsi che a farsi.
Aveva cavalcato, solcato e combattuto per decenni nella notte e solo per un ventennio e mezzo aveva visto la luce. E tutta la luce che ora poteva vedere era una fottutissimo bagliore in un camino, oppure dissipata in legna bruciata in falò o roghi di case e similari. Cristo Santo!
La legna brucia, lo stesso le case e i castelli, gli alberi, i cadaveri e... le persone. Suo padre: il Carnefice, una ferita aperta.
Chiude gli occhi e quell'odore gli riempe le narici: forte e vomitevole, acre e... tossisce, mentre con la mano stringe la pietra del camino, con forza, fino a sentire i tendini tirarsi e schioccare per lo sforzo. Inspira ed espira fissando le fiamme che ardono il tizzone. Rilassa le dita e porta il braccio lungo il corpo, muovendo le dita, e la mano, mentre una paura fastidiosa e ben celata subentra nella sua mente e sotto la sua pelle, fino in fondo al cuore. Un altro giorno. Un altro incubo. Il suo sonno, riposo delle membra. Una lotta per una pace momentanea che lui non riesce a trovare, a stringere, che non riesce ad afferrare!
Da tempo faticava a riposare, semplicemente. Incubi, o meglio lo stesso incubo, lo invadevano continuamente senza lasciargli tregua. Ogni nuova alba era il suo incubo ricorrente. Ormai il nuovo giorno era sinonimo di notte travagliata e quasi del tutto insonne. Ma mai, e poi mai, l'avrebbe fatto vedere! No, nessuna debolezza, nessun sentimento. Nessuno e nessuno mai avrebbe dovuto esserne al corrente, nessuno avrebbe mai sfruttato quelle emozioni. Stringe il pugno con forza e guarda ancora la brace: del legno restava soltanto il tizzone rosso ardente. Morte e calore: gli ricordava sé stesso. Guardare quell'ammasso di cenere e brace, che si dissolveva in polvere e cenere - come una vita che brucia nel fragore di un istante e si dissolve nel niente, nella polvere della morte. Suo padre e la sua vita. massacri. La sua vendetta, il suo scopo. Inspira ed espira di nuovo mentre raddrizza le spalle e ritorna alla sua normale mole: immensa ed implacabile. Si allontana dal camino in silenzio e nel buio della stanza.
I suoi passi rimbombano sulla nuda pietra, la camminata è stanca ma felina, pronta a scattare ed uccidere. Nessuno poteva competere, troppa rabbia ed odio lo logoravano dentro, troppo silenzio acquietato e pronto ad azzannare. Cercava e voleva sangue, battaglia, lesser e vendetta.
Cammina nel corridoio silenzioso fino alla sua camera, apre il portone con il pensiero e lo richiude sbattendolo.*